Piccoli Indie Crescono

Due anni fa ho scritto un pezzo intitolato "Indie developers do it
better"
un una guida minima per orientarsi nella vivace scena dei
videogames indipendenti. In questo breve periodo la situazione si è
evoluta a tal punto che un aggiornamento è d'obbligo.

La prognosi sullo stato dell'industria non cambia: l'obsolescenza programmata delle piattaforme di gioco richiede titoli più sofisticati che sfruttino appieno le ultime tecnologie. Più poligoni, più texture, più scene di intermezzo, in breve, più "roba" richiede team di sviluppo più grandi e complessi, investimenti maggiori e campagne di promozione hollywoodiane. Fin qui niente di nuovo, è la nota logica espansiva della civiltà dei consumi. Senonchè gli enormi capitali in gioco funzionano da deterrente da un tipo di innovazione che non sia puramente tecnica e quantitativa. A parte pochi esempi come il visionario Spore, i titoli più venduti rientrano in pochi generi ben definiti e gli investimenti tendono ad andare su franchise consolidati o giochi di discutibile qualità basati su licenze. Sempre più giocatori e sviluppatori stanno riconoscendo l'esistenza di una crisi di creatività nell'industria videoludica. Una crisi che lascia insoddisfatti i consumatori più esigenti in cerca di esperienze nuove e frustra i lavoratori del settore che vedono la loro creatività sminuita da strutture pachidermiche e conservatrici.
Ma una nuova generazione di sviluppatori sta emergendo dal sottobosco della rete. I creatori di indie games hanno molto in comune coi "cugini" musicisti indie e i cineasti indipendenti. L'etica fai-da-te che rigetta la dipendenza dai grandi capitali, l'interesse verso l'innovazione linguistica e la sperimentazione, la generale tensione all'originalità e a "stili" distintivi. Un'attitudine questa che non teme di alienare una buona parte dei giocatori: certi indie games sono apprezzati solo da un pubblico ristretto, spesso dominato da addetti ai lavori. Si tratta di giochi "difficili" ma non necessariamente inaccessibili. Come diceva quel terribile slogan: per molti ma non per tutti.
Fino a poco fa il mondo videoludico indipendente era sprovvisto di adeguati canali di distribuzione e promozione. In assenza di qualcosa come etichette musicali indipendenti, magazines specializzati o circuiti alternativi, i giochi indipendenti rimanevano in genere sotto la soglia del radar: esperimenti concepiti in "jam session" di programmazione, produzioni amatoriali senza pretesa, prototipi all'interno di curriculum professionali.
Eppure qualcosa inizia a muoversi. I festival e gli eventi dedicati al gaming indipendente si moltiplicano così come i blog di critica specializzata. Il problema della distribuzione, ovvero il famigerato limite dello spazio sugli scaffali dei supermerati, sta venendo rapidamente superato. I videogiocatori non mostrano particolare attaccamento per scatole colorate, supporti fisici e libretti di istruzioni e si rivolgono sempre più a portali che si propongono come intermediari commerciali per giochi downloadabili. Tagliati i distributori più esigenti e l'ingombro dell'oggetto fisico, il meccanismo di distribuzione può finalmente includere nicchie altrimenti considerate poco interessanti. Le console di gioco di ultima generazione stanno integrando ai titoli di punta acquistabili nei negozi un'offerta secondaria di software scaricabili direttamente dal salotto. Sul fronte online la popolazione dei casual gamers sta diventando particolarmente ambita e i portali in cerca di "eyeballs" (ovvero finanziati da pubblicità) si contendono gli sviluppatori più originali. Questo scenario più aperto e volatile offre notevoli opportunità a piccoli software house che possono ambire alla sostenibilità finanziaria senza scendere a compromessi che limitino la creatività.
Ci sono vari recenti titoli che sono riusciti a lambire il mainstream rimanendo in modalità di produzione e diffusione inequivocabilmente indipendenti.

L'inglese Introversion software si è fatta notare internazionalmente per Darwinia, un bizzarro pseudo-strategico che vede popolazioni di intelligenze artificiali lottare contro l'infezione di un misterioso virus. Ma è col successivo titolo, Defcon, che la Introversion ha mostrato cosa è possibile fare quando si hanno talento e buone idee. Defcon è un RTS al rallentatore che simula la guerra termonucleare globale. In un planisfero astratto ci si trova a fronteggiare fino a sei avversari online a colpi di testate nucleari. La componente umana è valorizzata al massimo, alleanze e tradimenti sono all'ordine del giorno in una guerra in cui la razza umana perde inevitabilmente. Elegante come il risiko, essenziale e complesso allo stesso tempo, Defcon riesce a regalare momenti di altissima tensione su un sottofondo musicale new age.

Lo stesso gusto per l'astrazione e per una certa essenzialità grafica è ritrovabile in Everyday shooter, un gioco sviluppato in pochi mesi da una sola persona. Lo sparatutto multidirezionale è una sorta di remake di classici arcade come robotron, in un certo senso non si fa niente di più che sparare tutto ciò che si muove, collezionare power ups e schivare proiettili. Ma il più primitivo schema di gioco è magistralmente riconfezionato come un'intensa esperienza sinestetica. Everyday shooter è strutturato come un album musicale, gli effetti sonori e le musiche, quasi indistinguibili fra loro, sono tutte prodotte da una chitarra, le classiche “ondate” di nemici funzionano da strofe e ritornelli. Pur mantenendo una coerenza di fondo, ogni livello ha un suo distintivo carattere che informa l'esperienza performativa del giocatore. Per sopravvivere occorre entrare in sintonia col livello, assorbire i pattern angolari di “Lush Look Killer”, districarsi nella selva biomorfa di “Root Of The Heart” o scivolare nell'etereo post-rock di “Porco in the sky”. Se non fosse così tremendamente divertente sarebbe esibito come arte generativa.

L'Experimental Gameplay Project è stato per certi versi l'apripista per molte esperienze di gaming indipendente. Nato come tesi di laurea di un gruppo di ragazzi della Carnegie Mellon University si basava su una semplice idea, produrre ogni settimana, per un semestre un prototipo di gioco innovativo.
Uno degli esperimenti più riusciti fu Tower of Goo un embrione di gioco in cui si doveva semplicemente edificare una torre fatta di palline appiccicose. La fisica gommosa di Tower of Goo era troppo intrigante per non essere ampliata e l'ideatore, dopo un breve periodo nelle fila dell'Electronic Arts, ha deciso di fondare la sua software house 2D-boy. L'esordio World of Goo è senza dubbio uno dei migliori giochi di quest'anno. Un rompicapo dalla carineria quasi imbarazzante che reinventa costantemente se' stesso. World of Goo è così tecnicamente ed artisticamente impeccabile, così bizzarro e stupefacente che sembra giunto da un altro pianeta. Persino la parte narrativa, decisamente superflua per un puzzle game, è un gioiello di umorismo. E tutto è stato realizzato da una coppia di ventenni senza un dollaro. Alla faccia della EA.

2D-boy non è l'unica stella nata sulla scia dell'experimental gameplay project.Sotto il moniker di Kloonigames, lo sviluppatore finlandese Petri Purho ha pubblicato una serie di piccoli giochi sviluppati nell'arco di una settimana. Il suo Crayon physics, che diventerà presto un titolo commerciale, è un'altra innovativa applicazione di motori fisici. Il giocatore deve risolvere una serie di rompicapi disegnando in assoluta libertà blocchi, ponti, pilastri e contrappesi.

Rilasciare prototipi online, osservare la ricezione e produrre versioni ampliate da commercializzare. Questa è una strategia di successo che in molti stanno seguendo. Il giovane sino-americano Jenova Chen si è imposto per una originale approccio: produrre giochi più “accessibili” applicando la filosofia del “flusso” al game design. Anzichè imporre un crescendo di tensione, l'algoritmo lascia al giocatore la libertà di modulare il livello di difficoltà in modo che l'esperienza non risulti mai nè noiosa, nè ansiogena.
Il flusso è stato magistralmente implementato nella favola ambientalista clOud e nell'online game flOw, una sorta di pacman disciolto in un brodo primordiale. Il successo di critica riscosso da flOw ha spinto Jenova a fondare la propria compagnia e produrre una versione per playstation 3 che è diventata rapidamente una hit. Il prossimo atteso titolo, flOwer, promette di diventare il prossimo passo di un percorso artistico e teorico che è sta già lasciando il segno nella storia dei videogiochi.

Eppure la scena indie non è fatta solo di poesia e carinerie. Basta spingersi un po' più nei sotteranei della rete per trovare autori a dir poco “maledetti”. L'illustratore-designer Edmund McMillen può essere considerato l'anello di congiunzione fra il fumetto underground e i videogiochi. I suoi mondi sono popolati da ogni genere di abberazione: pulcini deformi che rigurgitano grumi di sangue, involtini di materia organica, parassiti personalizzabili dall'utente, palle di liquame, feti in giacca e cravatta e donne fatte di cerotti. Nel suo oltraggioso Cunt (figa in inglese) il giocatore è un pene alle prese con una vagina mostruosa affetta da ogni tipo di malattia venerea. Ma in certi casi le ossessioni di McMillen raggiungono una raffinatezza senza precedenti nel mondo dei giochi online. Il recente Coil è un viaggio onirico attraverso una gravidanza aliena. Ogni livello ha un gameplay unico e gran parte del gioco consiste nel capire l'interazione da eseguire.
Per festeggiare i primi dieci anni di carriera indipendente, Edmund McMillen ha pubblicato un CD che raccoglie tutti i suoi giochi ed illustrazioni. Forse non è la scelta migliore come regalo di natale ma è certamente un ottimo modo per supportare artisti ai margini dell'industria videoludica.

Cactus e Messhof potrebbero essere per la scena degli indie games quello che Aphex Twin e Squarepusher sono stati per l'elettronica. Iconoclasti, versatili e iperproduttivi sono uniti da un'estetica neo-retro e dal rifiuto di ogni compromesso col giocatore. Jonatan Soderstrom, conosciuto come cactus, è un ventiduenne svedese che da alcuni anni produce e rilascia come freeware piccoli giochi sperimentali. Notevole la sua produzione di shoot-em-up, un genere che sembrava essere morto nei primi anni novanta. Clean Asia! fino ad ora l'esperimento più riuscito, è uno spatatutto psichedelico dalle meccaniche improbabili quanto il livello di difficoltà. Fractal Fighter si colloca sulla scia del seminale Warning Forever proponendoci una serie di boss di fine livello generati casualmente. Minubeat è un interessante crossover col genere dei rhythm games mentre l'astratto the design richiede un cervello alieno per essere giocato. Ma probabilmente cactus dà il meglio di se quando si allontana dal genere preferito. Mondo Medicals e Mondo Agency sono variazioni sul tema dello sparatutto in prima persona. In entrambi i giochi nessun proiettile viene sparato, il giocatore deve solo trovare l'uscita in serie di incubosi labirinti. Inevitabilmente la via giusta è quella più contro-intuitiva. Psychosomnium è un piccolo gioco che fa letteralmente a pezzi il genere platform. La visuale 2d e mattoni che ricordano quelli Super Mario Bros sembrano messi apposta per rassicurare il giocatore prima di tendegli ogni tipo di sgambetto. Cambi di protagonista lynciani e livelli dal design incoerente sono solo alcune delle bizzarrie che si possono incontrare in quei dieci miseri minuti di gioco.
Il newyorkese Messhoff è un altro instancabile sovvertitore di generi. Il platform Punishment o il simulatore di bad trip Randy Balma, municipal abortionist sono puri esempi di sadismo ludico: grafiche kitsh e sistemi di controllo pervertiti li renderebbero i peggiori giochi della storia se non fossero allo stesso tempo geniali ed affascinanti. La difficoltà estrema come tratto stilistico raggiunge l'apice con flywrench, un arcade/rompicapo glitch in cui si “muore” costantemente. L'ultimo gioco di Messhoff, Cowboyana è una sperimentazione sul concetto di multiplayer. Un'epopea western in cui una coppia di pixellosi amici-nemici bevono whisky o si sfidano a duello a seconda dei capricci dell'algoritmo.

Mi accorgo ora che questa breve carrellata non rende minimamente giustizia all'ampiezza e alla varietà della scena indipendente. Fortunatamente per approfondire ci sono blog specializzati che si moltiplicano di giorno in giorno.
L'industria videoludica mainstream è sotto assedio da una miriade di brillanti programmatori da cameretta, dovrà trasformarsi o verrà lentamente erosa. In questo contesto ad un paese come l'Italia, privo da sempre di una vera e propria industria videoludica si aprono nuove prospettive. Basta evitare di guardare sospiranti i colossi statunitensi, smettere di sognare un lavoro sottopagato come tornitore di poligoni e mettersi in gioco coi mezzi che si hanno e, possibilmente, buone idee. Non c'è momento migliore per ripensare al “fare videogiochi” come artigianato, come arte, come passione.

12/24/08 | | #